Siamo al culmine di una serie di 4 domeniche in cui i misteri più significativi della vita cristiana ci hanno allietati con la loro presenza: siamo partiti con la promessa mantenuta: io vado a prepararvi un posto… quando sarò andato vi manderò lo Spirito di verità…:ed è stata l’Ascenione al cielo di Gesù Signore; poi è davvero disceso lo Spirito mandato sulla Chiesa nascente: ed è stata Pentecoste; domenica scorsa siamo stati ammessi alla comunione della Famiglia Trinitaria; oggi è il Santissimo Corpo e Sangue di Gesù che diventa Viatico, Forza, Nutrimento, Sostegno per la vita cristiana: nello stesso empo garanzia di una presenza che con noi fa il percorso della vita.
Tre i testi, che sono fondamentali per la comprensione eucaristica, che ci vengono proposti dalla liturgia di questa Solennità.
Primo: il ricordo di quanto fece Melchisedek
Dal libro della Gènesi (14, 18-20)
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.
L’offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek ad Abramo, segna il momento della benedizione come riconoscimento da pate di un sacerdote che non appartiene alla discendenza sacerdotale ma che, come re di giustizia (Melchisedek) e re di pace (Salem) celebra la vittoria di Abramo sui tre re: perché Dio era con lui ed agiva per lui. L’apertura di Melchisedek verso lo straniero anticipa il mistero della condivisione e della fraternità che l’Eucaristia fa nascere nel seno della Chiesa e all’esterno verso l’accoglienza dell’altro, chiunque esso sia!
Un Salmo, il 109, mette in risalto questo gesto di Melchisedek: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore. Oracolo del Signore al mio signore: «Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: domina in mezzo ai tuoi nemici! A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato. Il Signore ha giurato e non si pente: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek».
Per questo riteniamo che l’Eucaristia non è credibile se rimane un rito, il ricordo di un fatto successo duemila anni fa. È invece una “scuola di vita”, una proposta di amore che coinvolge tutta la mia vita: deve rendermi disponibile ad amare il prossimo, fino a dare la mia vita per gli altri. Secondo l’esempio che Gesù ci ha lasciato.
Il secondo testo è paolino:
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (11, 23-26)
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
In questo brano di Paolo la realtà che per noi è Gesù di Nazaret, prende il posto dell’immagine: notiamo come la figura senza tempo di Melchisedek scompare per lasciare il posto al solo e unico sacerdote, vero garante col suo sangue della nuova alleanza. L’apostolo, che è il primo a parlarci di uanto successo nell’ultima Cena, dichiara di essere il portatore della tradizione più autentica del gesto e delle parole di Cristo sul pane e sul vino poco prima di essere tradito da Giuda. Questo in prospettiva della liberazione dell’uomo: il Corpo è per noi. Poi l’apostolo delle genti, rende l’Eucarestia al nostro presente: fate questo in memoria di me. Infine Paolo proclama il memoriale che guiderà alla escatologia finale: annunziate la morte del Signore finché egli venga.
Il terzo testo è tratto dal Vangelo di Luca
Dal Vangelo secondo Luca (9, 11b-17)
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Questo testo si apre con una sfida affettuosa di Gesù, mtivata da una costatazione: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». È la preoccupazione dei discepoli di Gesù: non certamente la sua.
Qui la sfida: «Voi stessi date loro da mangiare». Sfida da un lato e preludio dall’altro di una sinfonia di cielo che è fatta per l’uomo, per osannare l’uomo, per glorificare l’uomo, nel progetto di Dio.
Non meraviglia la povertà dichiarata dai discepoli: è anche la nostra di fronte alla grande fame che c’è nel mondo: molto dipende anche da che senso diamo alla “fame”. «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
Qui si innalza l’onnipotenza dell’amore divino che promana da Gesù.
Ai 5000 uomini il pane sarà dato in abbondanza: non cadranno sfiniti per la strada: anzi avanzeranno dodici ceste piene di pani e di pesci.
In quanto al significato eucaristico e strettamente ecclesiale ed umano voglio sottolineare come questa moltiplicazione dei pani apre la conoscenza per noi del volere di Cristo Signore.
Egli vuole che partecipiamo al Corpo e Sangue suo perché vuole trasformarci in Lui, in quello che riceviamo – come dice S. Leone Magno. L’Eucaristia porta Dio in noi: c’è uno scambio di cuori: il mio al suo il Suo al mio. L’esaltazione dell’uomo è che solo Lui può avere questo privilegio: Dio dentro!
Gesù, anche così si china sui bisogni degli uomini: in Palestina li guariva, li curava, perdonava: tutto con infinito amore. E Gesù apriva davanti alle loro menti la prospettiva del Regno.
Intanto, per Gesù, la prima Eucaristia è stata la carne dei poveri sulla quale si è chinato, da Dio! Dopo ogni guarigione nascevano occhi nuovi, sguardi puri, cuiri pieni di speranza: qualcuno aveva amato. Ed il mondo si è subito presentato nuovo, libero.
Che differenza tra noi e Gesù: noi i “guai” lo mandiamo via, li scacciamo: Gesù li accoglie: gli apostoli, i discepoli avrebbero fatto tutto e subito: mandali via. Gesù non mi risulta che abbia mai mandato via qualcuno. Per lui importante è solo amare; sempre, ad oltranza. Se riflettiamo, nel Vangelo il verbo amare spesso è confuso o spiegato con un altro verbo: dare: amare significa dare! Leggiamo in Giovanni 3,16: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio; ancora in Giovanni 15,13: non c’amore più grande che dare la vita per i propri amici.
Saranno rimasti stupiti i discepoli nel vedere il pane passare di mano in mano e mai esaurirsi. Come si esaurisce la fame nel mondo: in un solo modo che è duro a capirsi: non mangiare da soli il pane, (quasiasi pane!) ma condividerlo, “sbocconcellando quello che abbiamo: anche se è poco: cinque pani, due pesci, un bicchiere di acqua, il vino della consolazione come tempo “sprecato”, un pizzico di cuore.
I discepoli hanno visto che tutti mangiarono a sazietà: lo vedremo anche noi nel momento della condivisione. Che bella la parola “tutti”. Sono tutti senza alcuna distinzione: uomini, donne, bambini, dotti, ignoranti, santi, bugiardi, peccatori, usurai. Nessuno è escluso. La grazia è per tutti. Alla scuola dell’Eucaistia, come singoli e come comunità accompaniamo la Chiesa e anche noi insegniamo, guariamo, diamo, saziamo accogliamo tutti, mettendo in comune quello che abbiamo: anche se poco, molto poco. Questa la moltiplicazione a nostra portata: la moltiplicazione dell’amore.