Chi è il cristiano? Cosa è chiamato a fare? Basta portare solo un nome anche se chiaramente ne chiarisce l’identità? La liturgia di oggi ci offre alcune risposte che nel cammino che anche noi con Gesù facciamo verso Gerusalemme (luogo della Passione, della Morte e della Resurrezione con la conseguente glorificazione!) per realizzare un cammino di santità.
Intanto il sentimento fondamentale della gioia del credente!
Dal libro del profeta Isaìa (66, 10-14c)
Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».
Quale il fondamento della gioia?
È la salvezza che il Signore opera e realizza per noi: noi che “amiamo il Signore”: da lui saremo portati al suo seno, come hanno fatto e fanno le madri della terra, per farci succhiare il latte della Sua Presenza, il vino della gioia. Questa salvezza è rappresentata dal fiume in piena che porta non la distruzione ma la vittoria del bene sul male e quindi porta come premio la pace: dono dello Spirito dono della Presnza di Dio dentro di noi.
Il cristiano quindi sperimenta in prima persona la potenza dell’amore di Dio che rifiuta di vedere i propri figli nella disperazione e nella miseria, o, peggio ancora, nelle difficiltà ordinarie e straordinarie.
Il Salmo che oggi si prega (Salmo 65) ci ricorda come tutta la terra deve acclamare a Dio: Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode. Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!». «A te si prostri tutta la terra, a te canti inni, canti al tuo nome». Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terraferma; passarono a piedi il fiume: per questo in lui esultiamo di gioia. Con la sua forza domina in eterno. Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto. Sia benedetto Dio, che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia.
Non mi ha negato la sua misericordia! Ecco il segreto della gioia del cristiano: poter dire del “suo” Dio: Non mi ha negato la sua misericordia!
Paolo poi aggiunge a questo discorso la sua esperienza di Cristo. Questa esperienza è così forte che Paolo gioisce nel portare i segni della passionr dentro di sè e sul proprio corpo: la pienezza della vicinanza qui è paradossale. Il segno di contraddizion,e di sconfitta, quale è la croce, per Paolo diventa un vanto:
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (6, 14-18)
Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.
Ecco il vero spirito del credente che si lascia afferrare da Cristo, dall’amore di Dio riversato abbondantemente nel suo cuore! Che bello notare che proprio questa croce di Cristo, nel cui nome ogni ginocchio si piega sulla terra e nei cieli, porti poi la pace e la misericordia. Paolo tira dritto per la sua strada: ha un tesoro prezioso che lo arricchisce: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. Questo l’alto grdo di comunione che Paolo raggiunge rispondendo alla chiamata del Signore Gesù.
Dal Vangelo secondo Luca (10, 1-12.17-20)
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Il cristiano però non può credere da solo: non è un’isola: il Vangelo che lo avvolge deve essere trasmesso anche ai fratelli del mondo: per questo motivo il Vangelo di oggi ci porta nel cuore della missione degli Apostoli, dei discepoli, ieri, ed oggi di tutti i cristiani.
Ricordiamo tutti quale fu il messaggio della mattina di Pentecoste: Gesù è morto ed è risorto! Per noi!
Andando nel mondo a portare questo annunzio, i cristiani invocano il dono della pace sulle persone, sulle famiglie, sulle città intere. Il che crea, con l’annuncio, una forte carica di scelta, cioè il cristiano che annuncia il Vangelo del Cristo morto e risorto, porta gli uomini ad interrogarsi e a dare la personale risposta al nostro Salvatore Gesù Cristo.
L’esperienza dei discepoli che vanno ad annunciare il Regno dei cieli oramai vicino all’uomo, è carica di gioia perché si sono resi contro del prezioso dono che portano dentro di sé e che non possono contenere: il dono dell’amore di Dio che si incarna e diviene salvezza alla portata di tutti. I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». La gioia non si ferma a questo momento: Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. Questa la risposta che Gesù dona ai asuoi discepoli: non per scoraggiarli ma perché l’annuncio li possa trascendere e li posso coinvolgere pienamente.
In questo testo ancora di più ci viene ribadito un concetto, che oggi è molto importante e determinante per tutta l’evangelizzazione della Chiesa. Non sono solo i singoli che devono annunciare il regno di Dio presente in mezzo agli uomini: è tutta la comunità che deve evangelizzare. Dovere di andare due a due, per formare la piccola comunità (comunità trinitaria con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo!). la testimonianza della comunità è molto più credibile della testimonianza di uno singolo! Proprio per questo motivo l’esperienza degli evangelizzatori di tutti i tempi non deve fermare il tempo e lo sguardo su sè stessi: bensì deve invogliare ad alzare lo sguardo verso il cielo: Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà laiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra. (Salmo 121).