Il comandamento dell’amore, su cui si fonda non solo l’insegnamento ma tutta la vita di Gesù, domenica scorsa ci ha aperto il cuore all’essenza della nostra vita e, quindi, delle nostre scelte. L’amore, come lo ha vissuto Gesù e come lo propone a noi, vorrei definirlo “un amore possibile”. Un amore che non è fatto di eroismo ma di piccole cose, di piccoli passi: ricordiamo tutti che nel giorno dei Defunti, nel secondo formulario della Messa ci è stata proposta la pagina del Vangelo di Matteo 25, il famoso giudizio universale, il giudizio su cui il Signore ci chiama a rispondere: non grandi atti di eroismo ma piccoli gesti quotidiani dove l’amore verso Dio è coniugato con l’amore verso il prossimo in maniera concreta e quanto mai semplice, nella sua formulazione di vita. Ci stiamo avviando a grandi passi verso la conclusione dell’anno liturgico vissuto dalla Chiesa in ascolto della Parola di Dio nella Lode al Dio Altissimo. Oggi il nostro appuntamento domenicale ci presenta l’incarnazione e la realizzazione possibile dell’amore. Mi sia consentito dal lettore, oggi, richiamare alla mente di tutti la fotografia di quella bambina che nel campo profughi è morta di fame. Amal, sette anni appena, è la fotografia vivente (!) della mancanza di amore: perché di questo si muore in tutto il mondo: di mancanza di amore. L’amore è come il pane, come l’acqua, il nutrimento per far crescere personee fare vivere sane, belle, dignitose. E, ripeto, l’amore è fatto di piccole cose: anche di un tozzo di pane, anche di un bicchiere di acqua: come di un sorriso, una mano tesa, una parlina buona al momento opportuno. Ma oggi spesso manca anche questo. Perciò la liturgia di oggi pone determinati accenti: di come un poco può diventare tutto, anche vita! Comunciamo dalla prima lettura che con nel Vangelo pone davanti a noi una donna come maestra d’amore. Dal primo libro dei Re (17, 10-16) In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia. E leggiamo subito anch la pagina del Vangelo di Marco: Dal Vangelo secondo Marco (12,38-44) In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Una donna: chi potrebbe essere? Prima di entrare nel merito della pagina biblica, vorrei sottolineare il ruolo per esempio della Chiesa: sposa e Madre, tenera dispensatrice della grazia (la Chiesa ha motivo di esistere solo perché legata all’amore di Cristo, a quando e come dispensare la grazia sacramentale); il suo essere porta amore. Una donna: chi potrebbe essere? “La” Donna per eccellenza che è la Vergine Maria la quale con il suo “Sì” ha permesso, per amore e solo per amore, al Figlio di Dio di venire nel mondo come uomo come noi e salvarci mediante il sacrificio della croce (come leggiamo nella seconda lettura di oggi). Una donna, a questa scuola, mi sembra, possa essere anche ogni mamma: capace di spendersi senza mai dire basta e senza mai stancarsi, mette sempre a disposizione dell’amore della famiglia tutto quello che ha, proprio come la vedova del Vangelo (vedremo dopo). L’amore misura la sua dedizione ed è inesauribile. Una donna: chi potrebbe essere? La donna consacrata, e nella Chiesa sono moltissime, che prolungano la maternità e la bontà del Signore, come le Monache in preghiera per tutta la vita nei Monasteri, le Suore nei vari impegni ecclesiali che vengono loro richiesti e a loro affidati, specialmente accanto agli ultimi, ai poveri, alla gioventù abbandonata, le Missionarie nella evangelizzazione dei paesi lontani, le Vergini Consacrate (Ordo Virginum) come lievito nella storia del mondo e delle comunità in cui vivono. Una donna: chi potrebbe essere? I tanti catechisti che si spendono per annunciare il Vangelo in briciole a bambini, fanciulli, adolescenti, giovani, adulti, famiglie. Con questo spaccato possiamo comprender quanto è grande il gesto della vedova di Zarepta che non esita a mettere sul fuoco il rimanente della sua provvista: non ha paura della fame, si fida di Dio, e getta nel cuore di Dio la sua speranza. Non morirà di fame né lei né suo figlio. Dio ha trovato spazio nel suo cuore. Come lo cerca nel nostro. Elogiata, e ben a ragione, la donna, povera, umile, che agisce in modo furtivo e nascosto, nel Vangelo, quando si trova di fronte al tesoro del Tempio: dove – dice Gesù sottolineando la sua grandezza – «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Questa donna che doveva essere sorretta dall’attenzione degli altri, non la nega a Dio. Questa donna, specialmente, indica una strada da percorrere quando si ha nel cuore l’amore. La chiave è la parola di Gesù: ha dato tutto. tutto quanto aveva per vivere. Questa donna si presenta così non solo generosa ma donna di vera ee profonda fede in Dio: si fida di Dio e butta tutta la sua speranza in Lui. Nel primo caso vediamo anche come Dio non delude e rispnde con la vittoria sulla siccità da cui rinasce la vita per la vedova, il figlio e tutto Israele. Ora mi domando una cosa importante: ma come è possibile tutto questo? Quale la forza di questi due gesti? La risposta ci viene dalla 2 Lettura della Messa: Dalla lettera agli Ebrei (9, 24-28) Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di sè stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. La forza dell’amore e della fede che l’accompagna è la conquista dell’unico e vero sacrificio che ha realizzato Cristo. La lettera agli Ebrei anche oggi ci fa conoscere la particolarità di questo sacrificio: a differenza del sacrificio dell’antica legge insufficiente perché fosse gradito al Padre perché sacrificio soltano delegato al sangue degli animali, il sacrificio del Cristo è offerta di sè stesso perché gli uomini riconquistassero l’more perduto con il peccato. Questo sacrificio che è solo amore, soprattutto amore, unicamente amore, porta come frutto che nel cuore dell’uomo l’amore diventa possibile e si trasformi in certezza che Dio è Padre (noi siamo i suoi figli prediletti) e che nulla ci mancherà quando Lui parla: mi piace concludere queste riflessioni con il passaggio della prima Lettura dal 1 Libro dei Re: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». Così fu e così sarà sempre quando Dio parla.