Siamo oramai verso la fine dell’Anno Liturgico: mediante questa esperienza la Chiesa nostra Madre che ci ha accompagnati come un viaggio, un cammino fatto non da soli ma insieme a Gesù Salvatore. Egli ha sviluppato il “suo” Vangelo, con il viaggio verso Gerusalemme dove ha consumato il mistero della nostra salvezza. Anche noi ci avviamo per un appuntamento sicuro, in un giorno che non conosciamo ed in un’ora che ignoriamo. Ma verrà ed allora vogliamo trovare pronti a vivere la Beatitudine che Gesù ci ha riservato e ci ha preparato perché la raggiungiamo.
In queste ultime settimane il discorso della vita eterna, la vita che vivremo nel cuore di Dio se lo abbiamo scelto: e questo è il paradiso, vivremo lontani da Dio se lo abbiamo ignorato o disatteso: e questo è l’inferno. Inutile domandare ad un vero credente: dove vorresti arrivare? Perché la risposta dovrebbe essere unica: voglio vedere il volto del Signore: come dice il Salmo 27: Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario. Nella sua dimora mi offre riparo nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua tenda, sopra una roccia mi innalza.
Questa domenica ci presenta il resoconto di un passato, un presente, un futuro, non modellati sulla logica umana ma solo sulla logica divina, la logica di Dio. A cominciare dalla prima lettura:
Dal secondo libro dei Maccabèi (7,1-2.9-14)
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri». [E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Il testo continua ancora: ed è struggente la testimonianza soprattutto della fermezza educativa nella fede di questa madre che assiste addolorata quanto addolorata alla morte dei suoi sette figli: ecco il prosieguo:
Subito dopo condussero il quinto e lo torturarono. Ma egli, guardando il re, diceva: «Tu hai potere sugli uomini e, sebbene mortale, fai quanto ti piace; ma non credere che il nostro popolo sia stato abbandonato da Dio. Quanto a te, aspetta e vedrai la grandezza della sua forza, come strazierà te e la tua discendenza». Dopo di lui presero il sesto che, mentre stava per morire, disse: «Non illuderti stoltamente. Noi soffriamo queste cose per causa nostra, perché abbiamo peccato contro il nostro Dio; perciò ci succedono cose che muovono a meraviglia. Ma tu non credere di andare impunito, dopo aver osato combattere contro Dio». Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi».
Il nostro passato, anche il nostro, è fondamentalmente fatto di fede: trasmessa in famiglia soprattutto, nelle nostre comunità ecclesiali, e anche nelle scuole dove c’erano maestri con la M maiuscola. Da questa fede nasce il dono dei fratelli Maccabei e della loro valorosa e soprattutto credente Mamma. Quando si dice: la famiglia. Ecco la culla dei veri uomini e delle vere donne del domani: una famiglia alveo di amore, culla dell’educazione, allenamento a guardare in alto e al di là delle cose, senza lasciarsi condizionare dalla mentalità del mondo.
Il centro della nostra fede non è un’idea ma una persona: Gesù Cristo il Figlio di Dio, fatto figlio di Maria, uomo come noi. Ascoltiamo la voce di Paolo, ispirata dallo Spirito:
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (2, 16 – 3, 5)
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno. Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Questo testo paolino ci presenta l’amore di Dio che è in Gesù: Gesù è il presente dell’uomo che crede e che spera. Parlare di Gesù significa ammirare il presente di un amore che ci coinvolge ci accarezza per ridarci speranza e sostenerci nella lotta contro il male e soprattutto ci aiuta a recuperare la mentalità soprannaturale che ci permette di vivere benissimo la vita terra, ma con lo sguardo rivolto verso il cielo. Gesù si presenta a noi con la sua Parola, che è sempre più lampada ai nostri passi nel buio della storia e della mentalità materialistica del mondo. La Parola di Gesù è il faro che illumina il nostro orientamento per farci approdare al porto sicuro della Beatitudine. La Parola ci permette di superare anche le meschinità di ragionamenti che mortificano l’intelligenza dell’uomo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo. Così Paolo ci ricorda come il Cristo sia il nostro punto di forza.
È vero che la Parola ci presenta un assurdo che è in contrasto con la mentalità umana ed edonistica che ci avvolge per intero: ma è proprio a questo assurdo che vuole educarci il Maestro Gesù. Come oggi fa nel Vangelo con un singolarissimo racconto inventato ma che cala a pennello per farci comprendere il mistero dell’amore come dal presente ci proietta verso il nostro sicuro futuro.
Dal Vangelo secondo Luca (20, 27-38)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
I sadducei, questa setta di ebrei, negavano la resurrezione e vorrebbero tirare Gesù nella loro trappola. (ci hanno tentato in tanti ma senza riuscire: anzi tutti sono usciti non solo sconfitti ma anche sconfessai nei loro errori).
Qui è in gioco tutta la predicazione di Gesù, sul Regno, sul superamento dell’umano che ci porta oltre. I sadducei come la maggior parte degli ebrei, rifiutando Gesù rifiutano di andare oltre e comprendere davvero cosa è il soprannaturale, lo spirituale. Se rimani con il cuore e lo sguardo rivolti a terra, amico lettore, sono moltissime le cose essenziali che ti sfuggono e, invece, troveresti in esse la risposta ai tuoi interrogativi vitali.
Questo vangelo cammina su un binario sarcastico e anche ridicolo: una donna, che mi sembra piuttosto una iettatrice che una donna da marito, fa fuori ben sette mariti, senza dare loro un figlio (il richiamo alla Legge mosaica è un semplice paravento di ricorrere alla Parola pe manipolarla!!!).
Ed essi vorrebbero con questo metro dell’umano dettare a Gesù una risposta equivoca. Ma la chiarezza del Maestro ci aiuta, aiuta anche noi a cambiare prospettiva: quando c’è di mezzo Gesù non è possibile continuare a crogiolarci nei nostri vuoti ed insulsi ragionamenti: occorre acquisire la nuova logica. Nella vita eterna non ci sono le categorie umane. Unico ragionamento e metro di vita sarà l’amore che ci fa riconoscere tra noi ma non appartenere o possedere, ci fa gioire ma non arrossire, ci fa beati ma senza mortificarci nei nostri sentimenti più nobili che sulla terra sono stati il nostro patrimonio.